Dialogo

Tutte le mattine ci si saluta in cerchio e si coglie l’occasione per esprimere le proprie sensazioni o impressioni. Ci si racconta e si decide democraticamente insieme, dopo aver ascoltato il parere di tutti.

Il confronto, il dibattito, la condivisione

Si parla con i compagni o con l’insegnante o con l’oggetto/animale/pianta. Si instaurano dei dialoghi per raccontare ciò che si fa o si vede. Si parla perché si è provocati a farlo.

Se la conoscenza si costruisce come una rete di connessioni, di analogie, differenze e confronti, è difficile riuscire a farlo da soli. Accettare la provocazione dei compagni e dell’insegnante, spiazzarsi per riuscire a vedere le cose da più punti di vista è fondamentale nel cammino verso l’autonomia nella gestione del proprio sapere”.[1. N. MALDERA,  Lavorare con i bambini, in F. ALFIERI, M. ARCÀ e P. GUIDONI, (a cura di), Il senso di fare scienze. Un esempio di mediazione tra cultura e scuola, Bollati Boringhieri, Torino, 1995, p. 430.]

Si confrontano altri fatti simili o completamente opposti per aiutarsi nelle spiegazioni. Si cercano nella memoria altri esempi in cui si sono incontrate le stesse cose che ci hanno lasciato un ricordo che ora ci è venuto in soccorso e così si comincia a capire che ci sono molteplici fenomeni o cose/eventi che rispettano una stessa logica. “Rendere comprensibile ad altri quello che si pensa fa parte del contratto, delle ragioni per cui si viene a scuola; la coerenza tra fatti e rappresentazioni è altrettanto importante, e fa parte del contratto più specifico che riguarda il fare scienze a scuola”.[1. Ivi, p. 450.] Per sostenere una conversazione è necessario capire cosa ci viene detto e interloquire con pertinenza; o lo alimenti oppure il dialogo si spegne.

“L’apprendimento del linguaggio […] non avviene in un vuoto sociale e le ricerche più recenti hanno dimostrato come il tempo che i genitori trascorrono conversando con i propri figli sia proporzionale all’ampiezza del vocabolario che essi acquisiscono”.[1. Ivi, p. ???.]

A tre anni, un bambino conosce già un gran numero di parole

A tre anni, un bambino conosce già un gran numero di parole, che gli consentono di dar maggiore voce alla sua capacità rappresentativa e di consolidarla, articolando oralmente frasi semplici. Padroneggia bene le varie funzioni che il linguaggio permette: da quella espressiva (manifestare una tensione interna come un grido di gioia), a quella pragmatica (attirare l’attenzione sugli oggetti), a quella evocativa. Continua…

Abituarli alla descrizione orale di ciò che si vede o si sta facendo, perché imparino ad essere chiari e concisi a tutto vantaggio di un’acquisizione di precisione di linguaggio. “Molto spesso non si ha consapevolezza di tutto quello che si sa, né della ricchezza delle proprie esperienze; trovare le parole per esprimersi aiuta i bambini a riorganizzarle e a diventarne più coscienti”.[2. Ivi, p. 430.] Parlare mentre si osserva o si manipola dà immediato significato alle parole che sono direttamente legate a ciò che si vede e si sente.

I bambini dicono che «l’energia è il calore», oppure che «la forza è un’energia». Quando rimangono come definizioni, queste frasi non evocano né esperienza vissuta, né immagini profonde. Le cose sono ben diverse quando i bambini riescono a dire che «l’energia è come quando carico i muscoli per fare il tiro alla fune»”.[2. Ivi, p. 460.] Ci si abitua ad usare le parole anche se non è facile. E una stessa cosa si può indicare con parole dissimili, ciascuna però ha qualcosa in più o in meno rispetto a quello che si vede. “Per parlare ci vuole tempo, e per imparare a parlare insieme, su avvenimenti concreti, ce ne vuole anche di più. Ma è essenziale farlo, se si vuole che i fatti siano presenti nelle parole, e che le parole significhino i fatti”.[3. Ivi, p. 464.]

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