Rispetto

Il bambino ha delle potenzialità straordinarie che meritano la nostra fiducia

Il bambino ha delle potenzialità straordinarie che meritano, per prima cosa, la nostra fiducia e, per seconda, una struttura scolastica che le lasci libere di esprimersi. Loris Malaguzzi in un’intervista del 1993 affermava: “L’intelligenza del bambino è, ancora oggi, una cosa nella quale bisogna credere. Credere veramente che il bambino sia un portatore e costruttore anche di intelligenza propria, intanto. E se noi saremo pronti ad accreditarlo, allora modificheremo molti dei nostri rapporti con lui, molti dei nostri linguaggi e anche la scuola, in qualche modo, si adeguerà ad un bambino che è un fornitore costante di prove e di richieste e di ricerche intelligenti”.[1. F. QUILICI, Intervista a Loris Malaguzzi nell’aprile 1993, in Lo stupore nel conoscere. I cento linguaggi dei bambini,.]

Rispettare i tempi della maturazione, dello sviluppo

“Rispettare i tempi della maturazione, dello sviluppo, degli strumenti del fare e del capire, della piena, lenta, stravagante, lucida e mutevole emersione delle capacità infantili è una misura di saggezza biologica e culturale. Se la natura ha predisposto che la lunghezza dell’infanzia umana sia la più lunga (infinita diceva Tolstoj) è perché sa quanti guadi sono da attraversare, quanti sentieri sono da ripercorrere, quanti errori possono essere corretti da bambini e adulti, quanti pregiudizi occorre superare. E quante infinite volte i bambini debbono riprendere fiato per restaurare le immagini di sé, dei coetanei, dei genitori, degli insegnanti, delle conoscenze dei mondi. Se oggi siamo in un’epoca in cui il tempo e i ritmi delle macchine e del profitto sono modelli contrapposti ai tempi umani, bene, allora bisogna sapere da che parte stanno psicologia, pedagogia e cultura”.I 100 LINGUAGGI DEI BAMBINI. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia.

speciale fertilità celebrale che caratterizza i bambini

Ci tengo a sottolineare la speciale fertilità celebrale che caratterizza i bambini il cui intelletto è in una situazione di massima accoglienza di nuove conoscenze. Scrive Elena Dusi, riassumendo i risultati di una ricerca di neuroscienze: “Le neuroscienze li chiamano ‘gli anni che durano per sempre’, l’età fertile del cervello in cui si pongono le basi del successo futuro. […] Gli studi scientifici […] lasciano ormai pochi dubbi. Da zero a 6 anni la mente di un bambino vive le fasi più tumultuose e decisive della sua formazione, quelle in cui l’apprendimento avviene con più naturalezza e ha effetti più duraturi”.[1. Tratto da la Repubblica del 24 agosto 2011, pag. 23.]

Questo non significa appiccicare i bambini ad un banco di scuola e istruirli con le fotocopie, ma riporre maggiore fiducia nelle loro capacità affidando loro compiti fin dalla primissima infanzia. Credo che dovremmo smetterla di pensare che un bambino di quattro anni non sia capace di portare avanti certe esperienze senza neppure verificarlo prima o pretendendo che le faccia come vogliamo noi e, soprattutto, senza dargli gli strumenti e il tempo adeguato per capire come si debba fare per farlo bene. In alcune scuole, non c’è l’abitudine ad usare il modo di pensare scientifico con gli allievi, privilegiando l’aspetto fantastico, scordando che il bambino potrebbe divertirsi molto, ma imparando molto di più, se solo lo lasciassimo maggiormente sperimentare direttamente.

Rispettare il discente vuol dire, e qui mi ripeto, scardinare l’idea di un bambino ricettore passivo di nozioni, impegnato ad assimilare concetti esposti come verità assolute, abituandolo invece a porsi domande, ad essere dubbioso e critico. Il fatto che, spesso, i contenuti trattati a scuola siano poco interessanti e quindi motivanti per il bambino, mina fortemente lo sviluppo di una sua potenziale curiosità. Afferma Marina Bolletti:
“La critica principale che si può e si deve rivolgere alla nostra scuola forse è proprio quella di tramandare e perpetuare forme di passività dell’insegnamento/apprendimento, che ostacolano lo sviluppo del senso critico nei discenti, o, peggio, li abituano a rinunciare alla volontà di pensare, di fare ipotesi e verificarle, perché l’autorità informativa (la lezione dell’insegnante, il libro di testo) è, comunque, ritenuta sufficiente ed esaustiva. È proprio da questa riflessione che muove l’esigenza profonda di cambiamento nel rapporto insegnamento/apprendimento, in particolare nel mondo attuale, caratterizzato da una estrema velocità nel movimento delle conoscenze, delle informazioni e del modo con cui esse sono comunicate”.[1. M. BOLLETTI, Perchè insegnare a fare ricerca?, in D. LOMBELLO SOFFIATO, A. LO BRANO (a cura di), Inciampare nel problema, Imprimitur, Padova, 2004, p. 278, Atti del convegno internazionale Padova 30-31 gennaio 1 febbraio.]

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